Lesson 1, Topic 1
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Il Modello Drammaturgico di Erving Goffman

Erving Goffman (Mannville, 11 giugno 1922 – Filadelfia, 19 novembre 1982) è stato un sociologo canadese naturalizzato statunitense che ha studiato a lungo la comunicazione interpersonale.

Il principale contributo di Goffman alla teoria sociale è la sua formulazione dell’interazione simbolica nel suo “La vita quotidiana come rappresentazione” (The Presentation of Self in Every day Life) del 1959.

Per Goffman, la società non è una creatura omogenea. Noi dobbiamo recitare in modo diverso a seconda dei diversi teatri. Il contesto che dobbiamo giudicare non è un’ampia società, ma un contesto specifico.

Goffman indica che la vita è un teatro, dove il comportamento individuale è interpretabile alla luce dell’ampio contesto sottostante all’interazione simbolica faccia a faccia.

La sua teoria si riconduce al modello teatrale ed è dedicata alla comunicazione “faccia a faccia”, cioè quella che si verifica in situazioni di compresenza fisica.

Quando le persone sono vicine, sono costantemente preoccupate di controllare la definizione della situazione che avviene in una determinata circostanza.

Per definizione della situazione si intende l’interpretazione che noi diamo di ciò che sta succedendo in un dato momento. Di questa interpretazione fanno parte:

  1. L’impressione di noi stessi che vorremmo dare agli altri
  2. L’impressione che abbiamo degli altri.

L’analisi di Goffman si indirizza dunque sulle strategie usate dalle persone nelle comunicazioni faccia a faccia al fine di controllare e negoziare la definizione della situazione in rapporto ai propri scopi.

Questi gravitano principalmente intorno alla necessità di gestire strategicamente la facciata personale, per segnalare il tipo di ruolo che ci si propone di svolgere.

Lo scopo principale dell’attività quotidiana di tutti noi è quello di controllare la definizione della situazione. A volte la definizione è condivisa, altre volte sono meno scontata, in un crescendo di complessità:

Entriamo al bar e uno sconosciuto si avvicina e ci saluta, iniziando a parlare. Non so definire cosa stia succedendo e sono disorientato. La reazione più verosimile è quella di chiedere “ci conosciamo?” e cercare così di entrare nella normalità.

Nella definizione della situazione cerchiamo di avvantaggiarci, e in genere troviamo presto un accordo con il nostro interlocutore. La definizione della situazione serve così a rispondere:

  1. Al bisogno di prevedere cosa succederà e cosa aspettarsi dall’altro
  2. Al bisogno di essere apprezzato e accettato
  3. Al desiderio di coerenza con la mia identità complessiva.

L’insieme dei ruoli interpretati tutti i giorni formano l’identità personale, ed è per questo che tendiamo ad interpretare ruoli coerenti. Per lo stesso motivo desideriamo che le nostre caratteristiche non emergano da sole, ma sotto il nostro controllo.

A questo fine le persone presentano una certa facciata personale, costruita con una serie di tecniche che riguardano:

  • L’insieme di ciò che costituisce l’aspetto fisico e che possiamo gestire: abbigliamento, capelli, accessori, modo di parlare.
  • Comportamento: ciò che diciamo e facciamo, muoversi ecc.

Questi due aspetti producono la nostra facciata personale, il come ci proponiamo agli altri.

A ciò si aggiungono le regole implicite, come le formule di apertura e chiusura tipiche della conversazione. Questi piccoli modi di comportarsi formano veri e propri rituali: configurazioni standardizzate di comportamento di cui spesso non ci rendiamo neppure conto. Insiemi comportamentali standard.

I rituali linguistici dell’interazione sono fondamentali nel mantenere un ordine cognitivo e morale.

Così, quando incrociamo uno sconosciuto lungo il marciapiede, ci mettiamo d’accordo su quale lato occupare, senza bisogno di parlarci; manteniamo un certo modo di indirizzare lo sguardo, evitando di fissarci negli ultimi metri e così via.

Per comprendere il senso e la funzione di questi rituali è sufficiente pensare a quale disagio ci può creare il fatto di non rispettarli.

Sono le situazioni imbarazzanti in cui ci ritroviamo a spostarci a destra e sinistra davanti ad uno sconosciuto senza “metterci d’accordo” sulla traiettoria da percorrere, o quelle in cui un passante ci fissa intensamente anche quando, incrociandoci, ci troviamo molto vicini.

A volte i rituali sono tanto complessi da coinvolgere configurazioni molto ampie di persone: in un supermercato, il modo in cui si compra è sempre legato ad un certo itinerario spaziale.

Se la scuola di Palo Alto ha unito studi sociologici a psicologia, cibernetica e comunicazione, Goffman, essendo un sociologo puro, ha impostato i suoi studi sulla sociologia della comunicazione.

In particolare, sulla sociologia dei rituali quotidiani, vale a dire quei modelli standard di comportamento che determinano un ordine sociale, messi in atto dagli individui che cercano però anche di assumere il controllo della definizione della situazione.

Il processo attraverso il quale impariamo a comunicare correttamente è il processo di socializzazione: tecniche, procedure e processi attraverso i quali impariamo a comportarci correttamente e ad interpretare altrettanto correttamente la comunicazione degli altri.

Si tratta di un processo intenso durante l’infanzia (socializzazione primaria), ma che continua durante tutta la vita (socializzazione secondaria) e lungo il quale impariamo cose sempre più sofisticate.

Codici e regole numerosissimi ci circondano e sono definiti sociali nel senso che sono esterne all’individuo; su tali regole l’unico potere individuale è quello di violarle (si pensi ai punk negli anni ’70).

Ma la violazione delle regole non fa altro che ribadirne l’esistenza, o al massimo ottiene l’effetto di sostituire regole con altre nuove regole.

Regole e codici di comportamento sono importanti nel senso che le persone ne conoscono l’esistenza e sono consapevoli del fatto che dovrebbero seguirle.

Ci sono però anche persone che trasgrediscono le regole e da cui ci si attende un simile comportamento, come nel caso del “genio eccentrico e distratto”: in virtù del fatto che ci si aspetta da un simile personaggio la trasgressione di regole, tale trasgressione non crea problemi.

Vivere immersi nei codici non esclude comunque la libertà e l’autonomia. Il rapporto tra individuo e società non è unidirezionale ma dialettico, per cui esistono spazi d’azione individuale che ci consentono di variare comportamento e comunicazione.

Il comportamento tende a rappresentare la nostra facciata personale e la presentazione di questa facciata, secondo Goffman, avviene attraverso:

Intenzionale (a)

              COMUNICAZIONE:

                                            Lasciata trasparire (b)

Tale differenza ha attinenza con quella tra comunicazione analogica, numerica, verbale, non verbale:

  • la comunicazione intenzionale è quella espressa con il linguaggio verbale
  • la comunicazione lasciata trasparire è formata dai segnali che gli altri presumono che siano non intenzionali, anche se ciò non è sempre vero: tono di voce, gestualità, abbigliamento, l’insieme dei codici non verbali, sono aspetti della comunicazione che in realtà ognuno di noi cerca di controllare.

Si crea così continuamente una sorta di gioco-sfida per capire cosa c’è di realmente involontario. Es.: cerco di capire se mi viene detta una cosa con sincerità o solo per gentilezza, osservando segnali che si presumono essere non intenzionali.

Comunicazione intenzionale e lasciata trasparire costituiscono la comunicazione umana finalizzata alla presentazione di una facciata.

Nel caso di un personaggio politico, la comunicazione intenzionale è rappresentata dal suo discorso scritto, quella lasciata trasparire è formata da vestito, trucco, abbronzatura.

Questi messaggi vengono osservati e interpretati come non intenzionali e la loro interpretazione può essere tanto allineata quanto opposta all’obiettivo del personaggio.

In ogni caso, ognuno di noi è molto attento sia all’una che all’altra e quando la comunicazione lasciata trasparire è troppo controllata, la cosa diventa evidente (e guardando la persona diremo cose come “quella se la tira!”).

Ogni evento relazionale ingloba una certa dose di conflitto, la cui posta in palio è rappresentata dalla possibilità di definire la situazione e i propri rispettivi ruoli.

La dimensione del conflitto entra in gioco quando la definizione della situazione diventa fondamentale per poter sostenere il proprio self nell’interazione con gli altri.

La presentazione della facciata avviene sempre all’interno di uno SPAZIO fisico, che ha una sua importanza. Goffman opera una distinzione tra ribalta e retroscena:

  • Ribalta: sono luoghi destinati alle rappresentazioni, come nel caso dell’aula universitaria, che contiene il fulcro della vita accademica.
  • Retroscena: nell’esempio dell’università sono luoghi come potrebbero essere il cortile della scuola. Anche i comportamenti si adeguano ai due spazi, malgrado i membri siano gli stessi.

Nel retroscena possiamo mettere in atto comportamenti che poi non verranno utilizzati sulla ribalta. Così, il grado di informalità che interviene con il docente se andiamo a mangiare una pizza insieme. Non sarà portato sul luogo della ribalta.

A volte i due livelli di comportamento sono tutelati legalmente: è il caso della denuncia subita da Ricci per aver trasmesso spezzoni di fuori onda. In questo caso, al di là della violazione di una norma di legge, è stata infranta la distinzione tra ribalta e retroscena, che richiede di essere protetta e tutelata.

A volte lo stesso spazio può essere ribalta e retroscena a seconda dei momenti, a volte i due spazi si confondono. La distinzione netta avviene sul piano analitico.

Ogni ruolo viene destinato ad una certa rappresentazione, su una certa ribalta, seguendo determinati rituali.

Goffman ha elaborato il concetto di distanza dal ruolo: ognuno di noi può avere una maggiore o minore distanza dal ruolo che riveste, aderendo in misura diversa ad ogni ruolo che rappresenta.

Es. di distanza dal ruolo: uno studente si presenta all’esame vestito di stracci. In questo caso, la persona aderisce a ruoli codificati che lo definiscono come “studente”, ma lo fa con un grado di distanza, che viene espresso attraverso l’abbigliamento.

Attraverso la gestione di ciò che comunichiamo intenzionalmente e non, creiamo la nostra facciata: tra i più abili a controllare la definizione della situazione troviamo anche truffatori e imbroglioni.