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Il modello di Shannon-Weaver

È un modello matematico sulla comunicazione attraverso cui, con una concezione strettamente fisica dell’informazione, occorre trovare la codificazione più efficiente di un messaggio telegrafico; questo modello è unicamente basato sul canale.

La teoria che sta alla base del modello – che mostra le varie fasi del processo comunicativo – è stata formulata nel 1949 da Claude Elwood Shannon e Warren Weaver, due matematici statunitensi.

Claude Shannon e Warren Weaver, in ambito matematico, avevano elaborato nel 1949 una teoria matematica della comunicazione basata sugli esperimenti di trasmissione elettrica di informazioni. Il loro schema prevede:

emittente →canale →codice →destinatario →decodifica→ feedback

Ovvero: la fonte codifica un messaggio, che diventa un segnale (eventualmente privato di parte o tutta la ridondanza) che viaggia su un canale (che può introdurre rumore) e diventa segnale ricevuto, che va decodificato affinché diventi il messaggio ricevuto in forma comprensibile dal destinatario.

ll modello di comunicazione Shannon-Weaver è stato definito come “padre di tutti i modelli”.

Esso incorpora i concetti di fonte di informazione, messaggio, trasmettitore, segnale, canale, il rumore, il ricevitore, meta-informazioni, probabilità di errore, di codifica, decodifica, tasso di informazione, capacità di canale etc.

Il modello di Shannon e Weaver e stato ideato, inizialmente, con lo scopo di analizzare le problematiche della telecomunicazione (telefonia e trasmissione dati). In seguito, esso ha rappresentato uno stimolo molto importante per lo sviluppo di ulteriori modelli e teorie in ogni campo della comunicazione umana.

Il modello è basato sul concetto di “trasmissione di segnale” da una fonte ad un ricevente, per mezzo di un canale comunicativo.

Il modello di Shannon-Weaver viene rappresentato graficamente in vari modi. Presenterò, di seguito, il più significativo.

Il messaggio emesso viene trasformato in segnale, trasmesso attraverso un canale, ricevuto e decodificato (interpretato) da un destinatario.

All’interno del processo si trovano interferenze (noise) in vari punti, soprattutto sul canale, distorsioni e degradi dell’informazione (entropia), e un meccanismo di retroazione (feedback), in cui il ricevente restituisce informazioni di ritorno all’emittente.

Analizziamo il seguente passaggio semplificato: la fonte di informazione (un uomo) intende trasferire un messaggio (“ti voglio bene”) ad un destinatario (una donna).

Per farlo, utilizza un apparato trasmettitore (la voce), che converte il messaggio in un segnale fisico.

Trasformare il pensiero mentale “ti voglio bene” in un segnale fisico richiede un processo di codifica, di traduzione del pensiero, in segnali comprensibili.

Questo segnale viaggia attraverso un canale (l’aria) ed incontra l’apparato ricevitore del destinatario (orecchio). Il ricevitore applica un processo di traduzione del segnale fisico cercando di ricostruirne il significato originale e reale (fase di decodifica).

Se questo avviene correttamente, avremo una nuova sequenza di messaggi che partono dal ricevente e forniranno una risposta (feedback).

Anche il feedback è sottoposto al medesimo procedimento, trattandosi di un segnale che deve essere adeguatamente codificato, inviato ed interpretato.

Come possiamo osservare, molti passaggi sono necessari e non tutto va sempre per il verso giusto. Uno dei nodi centrali del processo è il codice di comunicazione.

Il codice rappresenta l’insieme di regole utilizzate per associare, ad un segnale, un messaggio. In altre parole, il codice stabilisce il rapporto tra la forma e il contenuto, tra l’aspetto esterno del messaggio ed il suo significato interno.

Se il codice non è uguale, avremo casi di impossibilità di comunicazione o interpretazioni errate, fatto che è all’ordine del giorno.

In ogni tipo di comunicazione esiste poi una forma di rumore (noise), vale a dire informazione non pertinente che si inserisce nel canale stesso e rende difficoltoso il passaggio del segnale.

Ad esempio, il rumore di fondo in un ambiente, il passaggio di un treno, di una ambulanza etc.

Il rumore produce una perdita di informazione per cui, in presenza di rumore, il messaggio dovrà essere ridondante, ossia i segnali dovranno essere inviati più volte creando la cosiddetta “iterazione del messaggio”.

La ripetizione del messaggio sarà necessaria quanto più aumenta il livello di rumore presente nel contesto di comunicazione. La probabilità che tutto quanto funzioni correttamente è molto bassa nella maggior parte delle comunicazioni umane.

Il campo esperienziale di una persona (encoder, codificatore) è composto da una miriade di sensazioni interne e rappresentazioni della realtà, ed è diverso dal campo di esperienze del ricevente.

Questo rende possibile la generazione di rumore comunicativo o distorsioni comunicative.

Per una comunicazione efficace occorre tenere ben presenti i seguenti aspetti:

  1. Trasmettere affidabilità:

Le persone valutano prima di tutto l’affidabilità e, di conseguenza, la qualità dei prodotti. Questo aspetto riguarda il “bisogno di trasmettere sicurezza e serietà” a coloro con i quali entriamo in contatto.

Ad esempio: ti fideresti di un buon piatto di insalata, sapendo che le foglie raccolte erano in un campo adiacente ad una discarica? Saresti disposto a cibarti di un piatto di ravioli surgelati, sapendo che sono stati prodotti dall’altra parte del mondo?

Per quale ragione abbiamo la tendenza ad andare sempre nei soliti posti: da uno stesso estetista, dentista, barbiere o parrucchiera, o ci affezioniamo ad un medico specifico?

Per quale ragione, in azienda, se vogliamo essere sicuri che un compito verrà eseguito in modo impeccabile, ci si rivolge sempre alle solite persone?

Immagina di avere un figlio minorenne che un amico di qualche anno più grande deve venire a prendere per portarlo ad una festa. Quando si presenta alla porta di casa tua, a quali dettagli presterai maggior attenzione per comprendere se può essere o meno affidabile?

Allo stesso modo, quando un nostro collaboratore bussa alla porta del nostro ufficio per informarci di una questione urgente, quali parametri utilizziamo per valutare il livello di affidabilità di quanto ci viene trasmesso?

Perché con alcune persone tendiamo a riporre una fiducia incondizionata, mentre di altre persone ci fidiamo di meno e, prima di prendere delle decisioni, ci informiamo personalmente chiedendo conferme ad altri colleghi e collaboratori?

In realtà, queste domande dovrebbero porsele coloro che percepiscono di non riscuotere la fiducia e provare magari a cambiare qualcosa, nel loro modo di agire.

2. Farsi comprendere:

in genere le persone tendono spesso a dare per scontato che gli altri li comprendano. Spesso accade il contrario. A volte anche una sola parola può impedire di comprendere cosa occorra fare.

Esempio: se in un hotel, durante la notte, noti del fumo, pensi che ci sia un incendio, e dalla tua stanza chiami la reception. Dalla reception ti dicono di leggere le procedure antincendio affisse su alcune pareti e di recarti nel luogo di raccolta più vicino a te. Poi la voce continua e ti dice che ce n’è uno poco distante dalla tua stanza, vicino ad un naspo. Sei sicuro di aver compreso dove andare?

Se ti stai recando dal tuo responsabile a seguito di un suo invito per una riunione di aggiornamento, ma non ti viene specificato l’oggetto dell’incontro, come potrai preparati adeguatamente per l’incontro?

Ogni messaggio è soggetto a diverse interpretazioni. Inoltre, ogni comunicazione ha un messaggio esplicito e uno implicito.

Ad esempio, se al ristorante un cameriere si rivolgesse a te dicendoti “le consiglio il fritto misto che è fresco! Lasci stare la lombata, quella lo teniamo per i turisti” (frase sentita realmente in un ristorante). Che messaggio sta trasmettendo quel cameriere? Quali effetti produrrà sul cliente? Cosa penseremo di quel ristorante?

È importante considerare che, ogni messaggio, ha un impatto sia sull’immagine aziendale, sia su chi lo veicola.

3. Mostrarsi aperti e disponibili:

al giorno d’oggi capita raramente di trovare persone disposte a collaborare, nel senso più ampio del termine. Mostrare segnali di apertura e disponibilità abbassa il livello di tensione e predisposizione all’azione e alla proliferazione di nuove idee.

Spesso i manager delle aziende con le quali collaboro, sono presi dallo sconforto perché, passano più tempo nel tentare di spiegare e convincere le persone ad attuare dei piccoli cambiamenti, del tempo che occorre per realizzarli.

Questo modo di rapportarsi con gli altri, appesantisce enormemente il clima all’interno dell’organizzazione. Spesso le aziende sono ingessate anche per queste ragioni.

C’è un famoso detto orientale sul cambiamento che recita: «quando soffia forte il vento del cambiamento, c’è chi innalza muri e c’è chi costruisce mulini».

Mostrare apertura e disponibilità all’ascolto, non rappresenta un segnale di debolezza, ma di forza, di intelligenza.

L’intelligenza è la capacità di saper comprendere il contesto nel quale ci si trova e adattarvisi. Il non adattamento scaturirà, prima o poi, nell’allontanamento, nell’estinzione, come insegna del resto la natura.

Spesso mi sento ripetere dai responsabili: preferisco evitare di domandare delle cose a quella persona: se vado da lui per chiedere un supporto ad un problema da risolvere, me ne torno con altri due in più! E magari, queste persone sono quelle che si lamentano più di tutti perché non vengono ascoltate.

Del resto, è comprensibile che, in presenza di atteggiamenti di chiusura e di scarsa collaborazione, i responsabili, che non hanno molto tempo a disposizione, preferiscano consultare altri collaboratori più disponibili e che forniscono un contributo concreto al miglioramento, fornendo idee e suggerimenti utili.

4. Non dare nulla per scontato, porre domande:

questa società, purtroppo, ci ha insegnato, direttamente o indirettamente che, chiedere, può essere visto come segno di debolezza.

In molti casi, sin da piccoli, abbiamo subito un processo di edu-castrazione che ci ha resi sordi e ciechi alle novità. Chiedere è invece un segnale di forza. Domandiamo perché siamo interessati, curiosi, pro-attivi ovvero: siamo «sul pezzo».

La domanda è uno strumento molto potente, per diverse ragioni:

  • Ci assicura di aver compreso bene il significato di un messaggio
  • Ci obbliga a rimanere concentrati nello scambio comunicazionale con il nostro interlocutore
  • Assicura e rassicura il nostro interlocutore sul fatto che siamo interessati su quanto ci sta dicendo
  • Ci preserva da errori che possono degenerare in situazioni, a volte, poco piacevoli
  • Permette a noi e al nostro interlocutore di ri-strutturare il proprio pensiero e aggiungere valore allo scambio comunicativo
  • Chi domanda ha in mano il testimone in una situazione comunicazionale e può guidare e condurre il processo di interazione